giovedì, novembre 12, 2009

Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava / all'orizzonte del cielo di Praga... (F. Guccini)


In questi giorni abbiamo assistito alle celebrazioni per la caduta del muro di Berlino e ascoltando i discorsi dei vari politici non ho potuto fare a meno di avere alcune perplessità, soprattutto quando si poneva l'accento sul fatto che questo avvenimento era la fine del sogno comunista, dimenticando che quel muro per la sinistra occidentale era da più di venti anni che aveva cominciato a sgretolarsi e precisamente dal 20 agosto 1968 quando i carri armati sovietici posero fine alla "Primavera di Praga", il tentativo di alcuni riformatori comunisti di dare un ordinamento piu liberale al paralizzante regime politico sovietico. La reazione controrivoluzionaria dei russi che occuparono il paese mostrò chiaramente che la dittatura del popolo, teorizzata da Lenin, non era altro che una dittatura di un regime fortemente autoritario. In Europa occidentale la consapevolezza di questo portò alla nascita di quello che venne chiamato eurocomunismo, ma che di comunista aveva solo il nome,  visto che gli intenti di questi partiti divennero chiaramente di tipo socialdemocratici e che solo l'ipocrisia fece si che il nome comunista scomparve solo con la caduta del regime sovietico. I  gruppi della sinistra più estrema e idealizzata, consapevoli della perdita di consensi, risposero con il terrorismo ma già nei primi anni settanta fu chiaro che non sarebbero mai potuti emergere dal loro isolamento ideologico e che la loro sconfitta, più che dalla guerra con lo stato, fu provocata dal mancato consenso delle masse popolari del quale volevano porsi a paladini.
Essendo nato alla metà degli anni sessanta ho certamente avuto una visione parziale di questi fatti, ma negli anni ottanta visitai diverse volte Berlino, l'ultima volta giusto qualche mese prima della caduta del muro, e per me giovane uomo di sinistra questi viaggi furono una lezione ed un esperienza politica che nessun libro avrebbe potuto impartirmi. Il contrasto tra una Berlino ovest, governata per anni da socialdemocratici liberali, ed una Germania dell'est, paralizzata economicamente e politicamente dal giogo sovietico, non potevano che essere più rivelatori, il disfacimento del sistema sovietico era più che evidente,accenttuatasi negli ultimi tempi da un ulteriore isolamento,dovuto alla nuova corsa agli armamenti ad all'invasione del Afghanistan, ed ad una nuova politica occidentale che dopo anni di trattative per un avvicinamento agli stati del patto di Varsavia ora, spinta dalla politica estrema del nuovo presidente americano, Ronald Reagan, accentuava il distacco delle due parti dell'Europa. Anche la stessa Germania Federale dopo anni di politica di buon vicinato, intrattenuta da più di dieci anni da governi social liberali, prima con Willy Brandt poi con Helmut Schmidt, ora, nei primi anni ottanta,a ffidando il governo al cristiano democratico Helmut Kohl, poneva la cesura al sogno di una Germania unita.
Sicuramente i padroni della terra sapevano già, nonostante ci continuassero a parlare del pericolo comunista, che il disastro economico da li a poco avrebbe sgretolato il sistema sovietico ma per il momento gli conveniva tenerlo in piedi e nonostante il papa polacco, l'indifferenza dei governi occidentali alla repressione di Solidarnonosc è chiarificatrice, lo status quo della situazione politica mondiale era una manna per l'economia, perciò la caduta del muro deve essere quasi stata più tragica per loro che per i nostalgici "comunisti".
Lo zio Fonta

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